(Una storia vera mai realmente accaduta)

Se non fosse stato per i Tartari non sarei vivo oggi. Erano i nomadi della Crimea, in quella che era la terra di nessuno tra la Russia e il fronte tedesco, e non erano a favore di nessuna delle due parti. Avevo già stretto un buon rapporto con loro e spesso mi allontanavo per sedermi in compagnia. “Du nix njemcky” dicevano “du Tatar”, cercando di convincermi ad unirmi al clan. Le loro usanze nomadi mi attiravano naturalmente, sebbene a quel tempo i loro spostamenti fossero stati limitati. Eppure furono loro a trovarmi nella neve dopo l’incidente, quando i gruppi di ricerca tedeschi avevano rinunciato. Allora ero ancora incosciente e rinvenni completamente dopo circa dodici giorni, quando ormai ero tornato in un ospedale da campo tedesco. Dunque i ricordi che ho di quel tempo sono immagini penetrate nella mia coscienza. L’ultima cosa che ricordo è che era troppo tardi per saltare, troppo tardi per aprire i paracadute. Dev’essere stato un paio di secondi prima di colpire il terreno. Fortunatamente non avevo la cintura allacciata — preferivo sempre i movimenti liberi alle cinture di sicurezza. Ero stato addestrato a questo, così come lo ero stato a non avere una mappa della Russia — in qualche modo sentivo di conoscere la zona meglio di qualsiasi mappa. Il mio amico aveva la cintura e fu polverizzato dall’impatto — dopo non ritrovarono quasi niente di lui. Ma evidentemente io fui scaraventato fuori attraverso il parabrezza mentre rimbalzava indietro alla stessa velocità con cui l’aereo colpiva il suolo e questo mi ha salvato, anche se avevo ferite gravi al cranio e alla mascella. Poi la coda si ribaltò e fui completamente sepolto nella neve. È così che i tartari mi trovarono giorni dopo. Ricordo le voci che dicevano “Voda” (“acqua”), poi la sensazione delle loro tende e il denso odore pungente di formaggio, grasso e latte. Coprirono il mio corpo di grasso per aiutarlo a rigenerare il calore e lo avvolsero nel feltro come isolante per mantenere il calore.